uber_addicted #1 – 28 novembre 2012

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Carnival Motel – Mostra fotografica di Francesco Viscuso + Live di Lili Refrain

Immaginate un Motel abitato da psicopatici. Finestre aperte sulla Memoria dove il riaffiorare di un trauma prevede la messa in scena paradossale di attori senza teatro, cittadini senza città, orfani, schiavi, reietti, rifiutati, malati, assassini, criminali, ladri, prostitute. Poeti.

Con queste parole Francesco Viscuso, fotografo catanese trapiantato a Roma, presenta il suo Carnival Motel, ovvero una galleria di ritratti e storie dalle suggestioni orrorifiche e dal forte impatto estetico.

Le vite improbabili, concentrate in un luogo di cui non vedremo mai le stanze, sono il pretesto per ritratti in maschera o sotto un pesante trucco, ricordi di un macabro carnevale: immagini di folli, fantasmi dal volto celato in un bianco e nero sontuosamente cupo e ironicamente gotico. Stampe ritoccate, strappate, rincollate, artificialmente invecchiate, come resti di un presente già antico: ritratti negati e tracce di un unico, persistente memento mori, a richiamare i giochi macabri di Witkin, con qualche eco della Sigismondi e i lontani teatri in interni di un Ballen, ma più schietti e come ritratti, nel senso di distanti, da qualunque pretestuosità concettuale, inscindibili da uno stile forse compiaciuto ma innegabilmente coraggioso. Scene estetizzate senza troppo ritegno, lontane dai presunti documenti della realtà e dalla luce fredda cui il digitale ci ha abituali e la fotografia contemporanea ci ha condannati. Un immaginario che da King porta a Edgar Lee Masters, che dall’orrore quasi cinematografico cede all’inquietudine metafisica, sviluppato in brevi racconti in accompagnamento alle immagini: biografie visionarie, freddamente dettagliate, che rimandano nel tono al Greenaway, vagamente burroghsiano, di The Falls.

E ancora, queste storie escono dalla attenzione disturbata di un foro stenopeico, di un buco della serratura, erompono dalle immagini e prendono forma in uno spettacolo dallo stesso titolo, con Lili Refrain che, dà loro corpo e voce, con una recitazione tra lo straniante e il naturalistico, sospesa tra echi classici e rarefatta prosodia, pronta a guidare con musica ora evanescente, ora materica, come una singolare via di mezzo tra Niobe e la Galas, i deliri in prima persona dei caratteri di cui conosciamo la maschera ma non il volto, in cui l’uso del delay ripropone fantasmi di suono che ritornano incessantemente, proprio come gli spettri evocati sulla scena.

Nessuno è mai riuscito a convincere Kate del fatto che lei non fosse realmente un gatto. Morta investita da un’auto in pieno giorno. L’uomo che guidava l’automobile, che l’ha uccisa adesso è un noto esponente dell’Associazione per la tutela degli Animali Abbandonati, è sposato, ha 1 moglie, 1 amante, 3 figlie, 66 gatti, 5 cani e una dozzina di struzzi nani originari della Patagonia.

Per finire, dal momento che Lili Refrain è una performer completa e dalle molte sfaccettature, ma soprattutto una musicista, la serata ne ospiterà anche il concerto. La sua è una musica da one-woman-band contemporanea: elettronica senza computer, voce, chitarra, loop istantanei, psichedelia, distorsioni, dal metal alla musica da camera, con attitudine sciamanica e non senza il pregio dell’autoironia. Si tratta di melodie stratificate, capaci di alternare liberatorie dissonanze ad arpeggi melodici e di comporre il tutto in ipnotici e personalissimi esempi di musica sperimentale e senza spocchia avanguardista, calda, originale e adatta allo spirito di questo primo appuntamento di Uber Addicted.