Il Libro delle Preghiere Comuni. DESIGN THERAPY per uno sguardo amoroso. di Luigi Patitucci

Il Libro delle Preghiere Comuni. DESIGN THERAPY per uno sguardo amoroso. di Luigi Patitucci

 


 

Il Libro delle Preghiere Comuni.
DESIGN THERAPY per uno sguardo amoroso.

Nel Public Design il target non esiste.

Il progetto culturale opera, simultaneamente, su una molteplicità di piani, dall’universo al quartiere, dallo specialista, allo studente, al comune utente.

La disciplina del Public Design, è oggi riconosciuta in ambito internazionale, quale insostituibile traiettoria, per poter meglio interpretare e tradurre, quelle che sono le dinamiche complesse dello scenario urbano, e farle convivere con le reali, concrete, ed a volte feroci, esigenze di tutta la comunità urbana di una città metropolitana.

Il miglior strumento, per il trasferimento in ambito applicativo, dunque nella realtà fisica delle azioni dinamiche della nostra quotidianità, sommatoria costituente del nostro complesso modus vivendi, pare essere meglio rappresentato da un Design Lab Permanente sui processi inerenti le problematiche connesse alla nostra esistenza in uno scenario urbanizzato, piccolo o grande che sia.

La struttura in oggetto, si propone di risolvere le più urgenti questioni riguardanti lo sviluppo e la ridefinizione del contesto cittadino, o di un’intera area geografica, mediante l’applicazione delle metodologie afferenti alle discipline del Public Design, che comprendono l’applicazione di principi e metodologie proprie delle discipline, altamente specialistiche, dell’ Urban Design, dell’Interior Design, del Landscape Design, del Product Design, del Graphic e Visual Design, e della Comunicazione in genere.

Soltanto attraverso la messa in atto di una struttura pluridisciplinare, propria della natura del Design, che nella sua fisionomia cromosomica, vive e si alimenta, mediante l’esercizio della ricerca, della sperimentazione e delle sue applicazioni alla realtà concreta del vivere quotidiano, costituita da una equipe di figure altamente specialistiche, che oggi si può rispondere alle complesse problematiche che emergono da un organismo vivente altamente articolato, quale è la città metropolitana.

Abbiamo assistito, nella seconda metà del secolo scorso, al fallimento di quei precetti modernisti, che si proponevano di poter ‘salvare il mondo’, attraverso la messa in atto di una serie di dinamiche proprie dell’Architettura, mediante l’applicazione di semplici dogmi, contenuti in alcuni affascinanti e populistici Manifesti e roboanti proclami.

Uno su tutti?

‘Dal cucchiaio alla citta’.

Questo proclama è il necrologio di tutta la stagione dell’utopia modernista, spazzata via dalla pochezza dei suoi contenuti umani.

La Natura si riappropria del suo potenziale creativo, esibendo una ricchezza di contenuti, di elementi generativi estremamente seducenti e di una forza devastante, ed io non nutro ormai alcun dubbio sull’inefficacia di un mondo troppo progettato, troppo disegnato, un mondo ostile ad ogni possibilità di riconoscimento del vivere umano.

Bisognerebbe adesso completare la frase/manifesto con la parte mancante, così da poter avere: “Dal cucchiaio alla città e dalla città al cucchiaio!”. Chiudendo alla fine il cerchio, rimasto pericolosamente aperto per quasi un secolo.

E lo si vede bene, guardandosi attorno.

Si, forse quello che dobbiamo realizzare è un Book of a Common Prayer, un Libro delle Preghiere Comuni, quale viatico per meglio affrontare la reinvenzione dello spazio delle nostre esistenze, lo spazio per mettere in scena le nostre esigenze, i nostri desideri, le nostre libertà. Stiamo ridisegnando tutto, in questo passaggio di millennio, stiamo ri-definendo tutto, è come se il designer dovesse, di volta in volta, rubare tutto ciò che rappresenta un oggetto, per poi donarlo all’oggetto stesso.

Il termine ‘Common’, e le sue plurime declinazioni, in qualche misura simile al termine Condom, almeno nella fonìa e nell’apertura sensibile alla molteplicità, è chiaro ed inequivocabile sulla definizione delle nuove traiettorie di sviluppo del sapere della nostra comunità globale.

Un sapere che diviene ora sapere comune, rappresentativo di una condivisione, che sfugge, a gambe levate, dalla antica questione della produzione di rendita attraverso la privatizzazione della conoscenza.

L’utenza degli ambiti territoriali urbani, in una sorta di pratica comune rinvenibile in ogni angolo del pianeta, certamente sostenuta ed alimentata dai nuovi sistemi di comunicazione, propri dell’era digitale, ha finalmente preso coscienza dell’importanza di appartenere in maniera attiva e vitale, alla geografia urbana costituita dagli spazi pubblici.

Ed è attraverso l’attivazione e la gestione qualitativa di questo processo, che si realizzano le traiettorie costitutive dello sviluppo dell’intero contesto d’appartenenza.

Ma, vi starete chiedendo, come si fa ad intervenire nel modus vivendi di tutta una comunità territoriale?

Beh, a mio avviso, bisogna innestare processi chiari e semplici, ma fortemente efficaci, nelle dinamiche portatrici delle nostre azioni sceniche dello spazio della nostra esistenza e, per fare questo, sono necessarie due componenti insostituibili: l’enorme energia potenziale contenuta nell’esercizio dell’azione del Gioco; l’adozione di efficaci e feroci pratiche di azione individuale e collettiva provenienti dal basso, dalla cultura di strada.

Design Therapy.

Ecco di cosa abbiamo bisogno, della realizzazione di azioni concrete nella nostra vita Reale.

Insediare il luogo dei sensi, un luogo dalle forti connotazioni simboliche, parte di un Paesaggio Risonante, che nella cifra della transitorietà possa trovare le migliori traiettorie d’espressione di desideri ed esigenze collettive ed individuali, che possa sostituirsi in maniera irreversibile al luogo della rappresentazione normata e funzionale della città capitalista. In un paesaggio dell’indifferenza e dell’anonimato, generato dalle becere economie messe in atto dal sistema capitalista, che ha prodotto una progressiva eliminazione dello scenario caratteristico dei luoghi, a favore di una Estetica della Sicurezza, fatta tutta da spazi d’interdizione, di spazi resi a forza sfuggenti, pungenti o addirittura stressanti, atti a favorire la ciclicità dei flussi di fruizione dello spazio pubblico unicamente nella traiettoria d’esercizio di una funzionalità, che ha lo scopo di sostenere le attività finanziarie e commerciali dei nostri ambiti territoriali; la riappropriazione fisica dei nostri spazi pubblici, ha una forte valenza simbolica e politica.

 

Nel Public Design il target non esiste.
Il progetto culturale opera, simultaneamente, su una molteplicità di piani,
dall’universo al quartiere, dallo specialista, allo studente, al comune utente.

 

Seduti a forza su una postazione che attraverso l’accesso alla Rete ci restituisce una visione panoramica strepitosa, dalle infinite possibilità, in maniera perpetua,  capace di restituirci persino una adolescenza lontana, ma che produce un progressivo ed inquietante allontanamento dalle tanto preziose questioni di prossimità, necessarie alla generazione di quella matrice identitaria afferente ad un luogo fisico, che è Storia e Rappresentazione di una cultura, che è elemento prezioso di divulgazione di informazioni e di produzione di economie, che passa attraverso la meravigliosa combinazione e messa in luce di elementi fisici e sensuali, oltre che emotivi e simbolici, ed ascritta tutta nel buon caro e vecchio Genius Loci.

Tutte operazioni condotte con lo scopo di poter garantire, attraverso il Design, la ‘misura umana’, cioè la considerazione delle umane esigenze, sia del singolo individuo che della collettività di prossimità, e le umane possibilità, espressive e di affermazione, mettendo in atto dinamiche di produzione di gratificazione e di rigenerazione in un determinato contesto ambientale.

Il Designer deve oggi lavorare alla rigenerazione continua dello Sguardo Amoroso nella utenza, mettendo in atto strumenti adatti a mettere in evidenza episodi significativi e fenomeni, che possano sostenerci nella emersione dall’indifferenziazione del Reale.

Dunque bisogna prendere atto delle mutate condizioni d’esercizio con cui si muove la nostra quotidianità, e valutarne in maniera oculata i nuovi parametri di riferimento.

Il Designer mette spesso in atto questa operazione di cattura dei necessari parametri di esercizio, attraverso una modalità di regressione, per così dire, alla dimensione dell’anima animale, quale gesto necessario per la creazione di un nuovo universo simbolico da poter proiettare sulla realtà, ed episodio fondante di umanizzazione, all’interno del contesto naturale in cui è impegnato ad esercitare la sua opera.

I designer dovranno realizzare strumenti e servizi, capaci di restituire all’utente comune quei Superpoteri di Intervento nella realtà concreta, servendosi di immagini, come prese in prestito da un Black Book, segreto e misterioso.

Immagini che contengano la freschezza e l’immediatezza della annotazione custodita con esagerata riservatezza, prima di divenire efficace elemento sociale, onnivoro strumento d’esercizio della ragion critica, con quella miscela fatta da ciò che riteniamo familiare, con ciò che è inatteso, sorprendente, ludico, inclusivo, prima di poter appartenere al Museo di strada dell’arte pubblica.

E come per l’arte di strada, dove gli artisti hanno reinventato le regole, battendosi contro le regole stringenti di un’arte ospitata soltanto nelle gallerie e destinata ad un ristretto gruppo di milionari ove il pubblico non ha mai voce in capitolo, realizzando la meravigliosa possibilità di condividere l’opera con la gente comune. Questo profilo identificativo scelto per la rappresentazione di tale campagna, mi sembra appropriato.

Un linguaggio ideale, quello dell’arte di strada, il migliore, per rappresentare il potere di redenzione contenuto nel messaggio, che qui diviene ri-definizione di un’esperienza già vissuta, ri-qualificazione di un elemento iconico, ri-creazione di un elemento finito noto, afferente al nostro scenario quotidiano e familiare.

È bene dire, che il Design, già da qualche decennio, non viene individuato più nella azione bislacca della figura divistica di turno, di chi ci concede la messa in scena e la mise en forme della creazione dell’ennesimo cucchiaino (… giusto per rimanere agganciati al nostro originario e. rappresentativo, oggetto del desiderio!) di esclusivo pregio artistico, ma appartiene a coloro che si preoccupano di condividere problematiche complesse, individuate in numerosi  ambiti settoriali, in diversi e variegati contesti ambientali, e dunque afferenti a molteplici ambiti disciplinari.

Anche perché l’icona, prima o poi, esplode e si dissolve nella nuvola di fumo del supermercato del preconfezionato, mentre l’innovazione che nasce dal gioco dell’adozione di pratiche non ortodosse, è il cuore del Design.

Da sempre.

Anche se sono pronto a rinnegarlo, prima o poi.

 


 

“I mezzi, se sono abbastanza disperati, giustificano il fine.”
J. G. Ballard, “Millennium People” (Feltrinelli, 2003)

Leave a reply