Francisco De Pajaro, l’arte che parte da un rifiuto. di Vlady Art

Francisco De Pajaro, l’arte che parte da un rifiuto.
di Vlady Art

 

 

 

 

Gli slogan per cui l’arte è spazzatura o la spazzatura è arte sono ormai vecchi di cent’anni e non è certo novità fare un uso creativo dell’immondizia.  Tuttavia, un uso così magistrale dei rifiuti solidi urbani lasciati per le strade, ancora non si era visto: Francisco De Pajaro riesce a conferire pittoricità e poetica a ogni cozzaglia informe che giace apparentemente senza speranza e a sfruttare al meglio gli elementi positivi della street art istallativa, come la sorpresa, l’effimerità, la sovversione visiva.

Vi risparmio anche ogni discorso scontato e perbenista per cui l’arte è e può essere riciclo, non solo perché questi esempi creativi li trovate già negli asili ma piuttosto perché questa è una conseguenza dell’opera di Pajaro e non un punto di partenza; la spazzatura non è né la sua né intende indicarci una via ecologista con questi “lasciti”.

De Pajaro, spagnolo con animo nomade, è emerso a Barcellona, dove ha iniziato questa ricerca nel 2009. Il suo vivere però è un continuo migrare, una continua ricerca di ambienti ideali in cui vivere e trovare chi di creare, da Londra a Tokyo. Sembra più preoccupato a fare arte in ambienti favorevoli, miti, non piovosi. Il resto per lui sembra di secondaria importanza.

Il suo approccio iconografico ha, in effetti, qualcosa di spagnolo, come in Goya o Picasso (e a onor del vero un tocco di Bacon), ma ne ha pure della cultura punk di strada: un blend spiazzante che l’ha portato in pochi anni all’attenzione di pubblico e critica. Eppure a sentirlo parlare, sembra che il suo obiettivo sia solo garantire un sorriso o una sorpresa a chi spunta da dietro il vicolo.

La sua arte è per forza di cose effimera e raramente supera la notte, all’aperto. Un persona che impiega tutta la sua creatività così non può essere che un fatalista che vive alla giornata, senza pianificare tutto e troppo, senza desideri di gloria o desideri “ingombranti” di visibilità. Un insegnamento ai tanti che credono che occorra lasciare tracce indelebili per risultare persuasivi. È così l’arte effimera: puoi non vederla, puoi non scovarla, può durare poco nel tempo ma è assai virale in rete e perciò permane nella fantasia delle persone, a lungo.

De Pajaro porta quindi con sé colori e nastro adesivo, ben poco, e non ha la preoccupazione di garantirsi permessi o dover rifugiarsi dalla polizia. Questo almeno oggi, perché prima dipingeva sui muri (e sulle tele) come tanti altri, ma con scarso successo. Ma l’inasprimento della legge l’ha portato a considerare un nuovo modus operandi… e per fortuna sua, aggiungerei. Mobili, sacchi neri, tavole, cartoni, materassi, Tv o poltrone sono già li, in ogni caso e a prescindere, e non può essergli contestato il reato d’avere il diletto per l’arte. I rifiuti urbani ingombranti sono una realtà notturna in ogni grande metropoli, non un fenomeno di banlieue dimenticate: anzi, le città opulente e ricche di attività commerciali sono un tesoro da questo punto di vista, potendo offrire tonnellate di materiale in esposizione, che regolarmente all’alba scompare, quanto meno.

Se pensate che non serva poi chissà quale genio, se pensate che potreste farlo anche voi, o che magari sia banale o troppo spicciolo, avete forse smarrito il senso dell’arte, sia nella società che per il business. De Pajaro, nonostante non faccia di sé troppa pubblicità, ha il favore della gente (avete presente cosa sia Instagram & Facebook, oggi?) e conseguentemente, la corte dei galleristi. Ecco dunque che serve del talento, perché non ci si ritrova raccontati dal Guardian o esposti nelle Gallerie di Notting Hill per caso, considerando poi quanto poco si è investito e quanta libertà si ha avuto.

 

Non tutti sono ancora al corrente del potere e dalla potenza della street art. Ancora sopravvivono resistenze e c’è molta disinformazione a riguardo, specie la tendenza di farne tutto un fascio. Questa di De Pajaro non è pittura, è proprio quella che più propriamente si può definire “arte di strada”. È conquisterà il mondo, se non lo sta già facendo. La storia di De Pajaro, che non è più un ragazzino, è emblematica per molti: A Barcellona con la pittura classica, convenzionale, non aveva alcun seguito. Proveniva da studi artistici… ma veniva rifiutato da ogni galleria. È proprio in risposta a questa chiusura che nasce la sua street art (e quella di tanti altri!), come gesto di ribellione, subconscio. Questa sua fortunata seria urbana chiamata “art is trash” fu un messaggio chiaro alle istituzioni (e alle sedi riconosciute dell’arte) che racconta così: “bene, se non mi sarà possibile garantirmi da vivere facendo questa pittura e con voi, andrò a fare esattamente quello che penso dell’arte al giorno d’oggi”. Un riscatto fenomenale, una risposta alla sorte che è solo frutto della sua brillante visione. Oggi De Pajaro si definisce fortunato, perché con la strada ha espresso la libertà di cui prima non godeva. Perché ha emozionato le persone che prima non incontrava, ed è stato ricambiato. E se la porta della galleria era allora chiusa, lui è entrato dal retrobottega, come ogni street artist dotato di fiuto e stoffa.

L’arte però per lui, non è spazzatura: “la vera spazzatura è la società che ci indica quali atteggiamenti assumere, portandoci a problemi e sconforto. Io faccio arte per esprimere sentimenti, tuttavia non so cosa sia l’arte, ne so se gli altri lo sanno”. Come dire, non so spiegarvi l’arte ma so che essa esiste.

 

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