‘Dead Kennedys. Il fascino indiscreto della provocazione’ di Enrico Lanza

‘Dead Kennedys. Il fascino indiscreto della provocazione’
di Enrico Lanza

 

La provocazione è sempre stata l’arma preferita dai Dead Kennedy’s. La band capitanata da Jello Biafra, al secolo Eric Boucher, ha scelto un linguaggio velenoso e poco disciplinato, un linguaggio che servisse a colpire il potere ma che alcune volte è stato vittima di fraintendimenti, come nel caso di “California Uber Alles”, che divenne una canzone manifesto dei giovani nazisti statunitensi, in realtà la canzone era un’invettiva lanciata contro il governatore della California di allora: Jerry Brown. Formazione hardcore punk di matrice anarcoide, formatasi a San Francisco sul finire degli anni settanta, il palmares discografico contiene due mirabili capolavori come “Fresh Fruit For Rotting Vegetables” dato alle stampe nel 1981, che vanta molti dei cavalli di battaglia dei D.K.,  e “Plastic Surgery Disaster”, pubblicato nel 1982. Però i D.K. sono riusciti a incuriosire anche per alcuni episodi che hanno alimentato il fascino e la personalità di una band piuttosto atipica all’interno della scena musicale. Il gruppo ha innescato una serie di polemiche e controversie accese, come nel caso del singolo “Too drunk to fuck” che suscitò preoccupazione in molte emittenti radiofoniche, al punto che la canzone riuscì ad avere solo pochi passaggi radio, oppure la pubblicazione dell’EP “In God we trust, Inc.” del 1981, con un Cristo inchiodato su una banconota di un dollaro, EP arricchito anche dai testi di Biafra velenosamente politici e religiosi,  oppure lo scandalo suscitato dalla copertina del già citato “Plastic Surgery Disaster”, copertina che raffigura una mano rinsecchita dalla fame di un bambino di colore, sostenuta dalla possente mano di un uomo bianco. Provocazioni che riuscivano a colpire, anche perché ormai la band vantava una forte credibilità, Jello Biafra era un personaggio molto stimato nell’underground, i suoi attacchi contro il potere, i ricchi, la religione e Reagan generavano non pochi consensi. Nel 1985 il gruppo si rende protagonista di una nuova polemica, il disco “Frankechrist” contiene disegni di Hans Ruedi Giger, ritenuti osceni dal Parents Music Resource Center (Centro d’informazione musicale per genitori, aveva il compito di valutare i contenuti etici e morali delle produzioni discografiche), il gruppo fu costretto a ritirare dal mercato la versione del disco con i disegni incriminati di Hans Ruedi Giger e ristamparne un’altra censurata, la vicenda si concluse male per Biafra e soci con la condanna a 14 mesi di carcere (scongiurati grazie alla condizionale), 2000 dollari di multa e il ritiro del disco da moltissimi negozi. Dopo “Bedtime for democracy” del 1986, la band decide di sciogliersi e inizia il periodo più triste della loro carriera, il periodo che allontana la ragione sociale dagli studi discografici e dai palchi e la introduce nelle aule del tribunale, dove infuria la lotta tra Jello Biafra e gli altri componenti per la possessione di quel nome che tanto aveva tentato di osare a distruggere, il paradosso ha voluto che nel vortice della provocazione contro il denaro, il potere e l’interesse sono stati risucchiati anche loro, la fase meno anarchica dei D.K. ne ha determinato l’amaro epilogo. Jello Biafra ha perso e gli altri hanno continuato con maschere sempre meno convincenti, ma in certi casi è meglio ricordare la gloria, quella dal furore giovanile, le lingue taglienti, le chitarre incendiarie e la censura dietro l’angolo: “The sun beams down on a brand new day, no more welfare tax to pay, unsightly slums gone up in flashing light, jobless millions whisked away, at last we have more room to play, all systems go to kill the poor tonite” (Da “Kill the poor”).