‘DADANDISMO’ di Tiziana Nicolosi

‘DADANDISMO’ di Tiziana Nicolosi

 

 

DADANDISMO

Ventiquattro giugno 2016. È il giorno dell’ultimo concerto della stagione calda di Opera Commons, ma è anche il giorno del mio compleanno. Due care amiche bionde mi regalano una coppia di carta bianca e inchiostro nero, una guida della Scozia per il nostro imminente viaggio insieme e un libro, in carne e ossa, da toccare, annusare, maltrattare e carezzare.
Com’è che gli scrittori, specie quelli bravi, gli artisti in genere, i creativi, riescono a dire qualcosa che hai pensato, provato, senza avere mai tu trovato quell’esatta maniera di ricordare, di raccontare, d’immaginare? Ti senti meno solo, ti senti abbracciato, ti senti capito, ti senti preso per mano, ti senti più forte. Eppure non mi spiego come Franzen possa essere considerato uno dei più grandi autori americani del momento. Forse perché ho il solito rifiuto dell’eccesso di contemporaneo. Troppi elementi di dialogo su prodotti, pratiche delle tendenze attuali, conversazioni cariche di tali riferimenti, mi svuotano lo spessore dei personaggi, lo stile narrativo e la sua estensione emozionale. La sostanza mi appare avvolta da una condensa di etichetta. È la mia paura del banale? Dello scontato, del ridondante, dello svuotamento, della riduzione del sentire psichico e della sua immensa malleabilità? O non è necessario citare zenzero, serie tv, skype, antinucleare e improbabili sotterranei movimenti antagonisticamente subdoli e derisi dalla stessa costruzione drammaturgica, come strumenti d’occasione, a rinforzo della caratterizzazione espressiva dei personaggi? Eppure so cos’è. Design contemporaneo.
Che io sfiori, tocchi, vesta un altrettanto provvisorio e aggressivo atteggiamento dada nei confronti dell’arte riconosciuta dal mercato e intellettualmente sopravvalutata. Che io sia solo arrabbiata, come Pip, con qualche anno in più sul groppone. Ma cosa c’è di scaltro, d’impertinente, nel testo ‘Purity’? E perché io mi aspetto che vi siano scaltrezza e impertinenza?
Cos’è un viaggio se non la rappresentazione mentale di un ambiente, di una scena in progress. Le influenze psicologiche dell’estetica del paesaggio e dell’architettura sono alla base di una corretta analisi del territorio così come di un testo, la definizione dei tratti comportamentali dei protagonisti e dei personaggi secondari, delle figure di sfondo.
L’ambiente determina il carattere degli individui, i loro gesti, registra e restituisce l’intervento che questi operano negli spazi attraverso le storie di vita, le urgenze, l’accomodamento su un transitorio sedimentato di forme e servizi. È la Scozia che ho visitato, è il libro che leggo. Tutto il vittoriano dei palazzi a puntonare il cielo pumbleo, a tratti tetro o solo neogoticamente solenne in quest’incrocio amoroso, non può che assecondare certi moti interiori, suggestionando la visione d’insieme e al contempo distaccata, aperta, alla ricerca di quelle cromie accese che lo stesso moto esteriore ti spinge a ricercare e ricreare fuori e dentro in un gioco continuo di parti, di equilibri. La Scozia ha tutti i colori, i sapori, dell’antico e del moderno, dal freddo al caldo. Gli interni confermano il passato, disconoscendolo e trafugandolo con picconeggiamenti di un’attualità completamente avvolgente e spiazzante.
E stai leggendo.
E ti senti maledettamente in famiglia, avvolta da una doverosa tregua, da un abbassamento delle difese, da una gratitudine per la mano tesa inaspettata al tuo rigore tradito. Provi ad alzare la testa, a guardare fuori dalla finestra, per farti rapire dai rami tesi dell’albero di fronte, per non lasciarti abbindolare, incastrare, ma sei già molleggiante nella ragnatela luccicante. E ancora ti estrai a forza, per respirare, come da un’onda più grande, per la quale hai calcolato male i tempi di resistenza e trattenuto poca aria, rilasciandola in fretta quando il risucchio sognava lento, portandoti con sé.
Ritorna in asse, al suo aggancio ipocondriaco, non appena si dà, Franzen, si ritrae impaurito, mica sta male davvero, (e poi che vogliono da me tutte queste persone? Chi sono? Perché dovrebbe importarmi della loro storia? Perché si espongono in tanta fitta trama con tutti i loro disagi, senza preoccuparsi dei miei? Perché i loro aneddoti di vita s’intrecciano mio malgrado?).
E suo malgrado, si tiene in vita, mi tiene in vita. Ecco, a me lui sembra un bravo mestierante.
Niente in me rimane inevaso e quando sembra che tu abbia fatto un favore allo scrittore per essere andata a fondo, quando hai toccato e scaldato le vette del più insensato femminismo, cazzando la randa come una gran piratessa di mare impervio, preservando il distacco dalla morbosità misogina in salsa desiderio, dall’infermità dei loghi sovraimpressi, eccoti gridare UCCIDILA.
A volte si arriva a credere alla possibilità di riscattare con la propria vita, quella di un genitore e lì ci si scontra con l’assassino della mente, con l’assassino del proprio corpo, della stessa idea di nascita, con l’arma del delitto: DAI, USALA ANCORA, UCCIDI PER LA SECONDA VOLTA, ANDREAS. Eliminala e portati dietro le tue origini, genitore di volto, il tuo senso di colpa, genitore di volto più fidanzata di spalle. La tua evoluzione, il sogno. La dissolvenza. Dada è avversione e sovversione. È passaggio, prova, verifica. Dada è l’omaggio alla sua spiegazione. Al Cabaret Voltaire. Al luogo di appartenenza. Al concetto. All’esserci. Al taglio. All’assenza. Dada è convulsione. È fuga, verso il caos, la natura, il suo opposto, dove è arroccato un rudere o un monolite seriale, un segnale stradale. Tra cuore, suolo e costellazione. n TIZIANA NICOLOSI

 

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